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Quaderni di Formazione online
Presentazione
Pubblichiamo di seguito il secondo capitolo del testo del 1984 seguito dalle riflessioni autocritiche sui limiti che lo contraddistinguono. In sè lo svolgimento dell’argomentazione coglie in maniera indubbiamente chiara il problema emerso alla fine degli anni settanta ed aggravatosi dagli anni ottanta. Che le politiche keynesiane stessero attraversando una fase di crisi, seguita da una crescente confusione cominciava ormai ad essere evidente e il testo lo evidenzia in maniera semplice. Tuttavia mancava un elemento critico essenziale che verrà esposto nelle riflessioni autocritiche che svolgiamo più avanti.
Glosse (auto)critiche
Se, come abbiamo sottolineato nella presentazione, l’analisi della natura della crisi del keynesismo svolta nel testo, e ripresa in numerose pubblicazioni dell’epoca, era chiara, che cosa mancava affinché essa facesse presa sugli interlocutori? Sul fatto che essa non solo non si sia imposta, ma non ha avuto nemmeno una sufficiente circolazione, non possono infatti sussistere dubbi, perché altrimenti non ci troveremmo nella drammatica situazione attuale.
A nostro avviso mancava una componente essenziale del quadro complessivo: il fatto che le crisi non possono trascinarsi indefinitamente nel tempo senza determinare effetti distruttivi. Che cosa svela, infatti, quel fenomeno che definiamo con quel termine? Che un processo che abitudinariamente mettiamo in moto per riprodurci sfocia in effetti contrari a quelli attesi, cioè contraddice le nostre anticipazioni. Il processo riproduttivo risulta così via via sempre più inibito; risulta cioè sempre più difficile soddisfare bisogni attraverso le pratiche che abbiamo imparato a sviluppare.
Negli anni ottanta il mondo stava lentamente scivolando su posizioni neoliberiste che si accompagnavano all’illusione che sbarazzandosi dell’intervento dello stato e riaffidandosi all’intraprendenza individuale privata, fosse possibile realizzare un nuovo sviluppo. Il tempo fece piazza pulita di questa fantasia, visto che la società si è avviluppata sempre di più nelle sue contraddizioni. (Aumento della disoccupazione, della precarietà, squilibri ambientali sempre più minacciosi, la pandemia e, da ultimo, la guerra.)
Ciò che mancava nel testo, in particolare, era la sottolineatura della dinamica distruttiva che si sarebbe accompagnata al mancato superamento della contraddizione. Come scriveva egregiamente Aaron Estern pochi anni prima: quando una contraddizione non è più necessaria, quando cioè il suo sopravvenire impone uno sviluppo sociale e personale per conquistare una nuova sintesi nel modo dell’esistenza, la sua mancata soluzione si trasforma inevitabilmente in un evento distruttivo. Pretendendo di poter procedere secondo l’orientamento che ha contraddistinto il preesistente modo di vita, non si riescono a metabolizzare i nuovi rapporti e le nuove forze produttive, finendo col farle operare in un modo che danneggia la società, invece di garantire il soddisfacimento dei bisogni emersi.
Nel testo non c’era cioè traccia dell’urgenza con la quale ci si doveva confrontare con la crisi appena emersa. Al contrario si dava l’impressione che un coerente confronto con l’evolvere della contraddizione potesse essere ancora oggetto di una libera scelta. La spiegazione di questa manchevolezza non è difficile. Il superamento di una contraddizione non è qualcosa che possa realizzarsi con la sola spinta al contrasto dell’avversario. La lotta richiede infatti un processo di addestramento e di allenamento, senza il quale il contrasto si trasforma in un semplice “fare a botte”. L’urgenza era quindi temperata dalla necessità di questa formazione. Come sottolinea Marx in Le lotte di classe in Francia, se gli individui non sanno superare le illusioni, le idee, i progetti che sono sfociati nella crisi, possono imparare come procedere soltanto dal “susseguirsi di una serie di sconfitte” che evidenzieranno ciò che non va fatto.
Ultima modifica: 20 Settembre 2023