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Quaderni di Formazione online
Gli ostacoli sulla via della redistribuzione del lavoro
(IV ed ultima Parte)
GIOVANNI MAZZETTI
«Il capitale riduce, senza alcuna intenzione, il lavoro umano ad un minimo. Ciò tornerà utile al lavoro emancipato ed è la condizione della sua emancipazione».
Karl Marx 1859
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«I borghesi hanno ottime ragioni per attribuire al lavoro una soprannaturale forza creativa, poiché proprio dalla natura condizionata del lavoro risulta che l'uomo, possessore soltanto della propria forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni sociali e culturali, schiavo di altri uomini che si sono resi proprietari delle materiali condizioni del lavoro».
Karl Marx 1875
Presentazione
Pubblichiamo, di seguito, la parte conclusiva di Tempo di lavoro e forme della vita (manifestolibri 1999). Con quel testo il Centro studi e iniziative ha cercato, a suo tempo, di sostenere analiticamente e criticamente il timido tentativo di Rifondazione Comunista, nel governo Prodi, di battersi per l’approvazione del progetto di legge sulle 35 ore. Un tentativo poi abortito proprio perché condotto in forme meramente volontaristiche.
La parte centrale delle considerazioni qui svolte prende spunto da una critica a Bruno Trentin, contenuta nel paragrafo “Perché il lavoro salariato preclude l’affermazione di sé”. Trentin, all’epoca, sosteneva che il bisogno di un’affermazione di sé, di un’espressione positiva della soggettività, lungi dal poter poggiare sulla lotta per la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, trovasse la sua forma coerente e matura solo sul lavoro. Nella critica viene spiegato perché questa convinzione è ingannevole, visto che c’è un nesso inscindibile tra la forma di vita (e dell’individualità) e la possibilità stessa di metabolizzare il cambiamento necessario per affrontare le contraddizioni emerse con la crisi iniziata negli anni ‘70. Si tratta, indubbiamente, di un aspetto del problema che è difficile comprendere, ma che non può essere eluso senza finire impantanati in un perenne stato di impotenza.
Perché di solito quasi tutti ricorrono al facile espediente di attribuire la responsabilità della crisi che stiamo attraversando al comportamento deviante di qualcun altro, esteriorizzando così il problema? Perché altrimenti dovrebbero riconoscere che il problema è quello della nostra incapacità, come individui sociali, di confrontarci con le difficoltà emerse. In altri termini, si dovrebbe cominciare a concepire la necessità di cambiare se stessi per imparare a cambiare le circostanze, in modo da far svolgere il processo riproduttivo secondo le possibilità e le aspettative.
Come ha ben spiegato Marx, gli esseri umani cadono quasi sempre nell’errore di considerare ogni conquista sociale che attuano come un qualcosa di immanente, di insuperabile. Ma il procedere dell’evoluzione fa loro il brutto scherzo di trasformare qualche tempo dopo quelle conquiste in nuovi limiti, che debbono imparare a superare se vogliono soddisfare i nuovi bisogni e utilizzare pienamente le risorse che hanno faticosamente prodotto. Il lavoro salariato – introdotto dapprima in pochi paesi meno di due secoli fa, e in corso di generalizzazione nel resto del mondo – ha rappresentato un grande progresso, appunto perché attraverso di esso l’individuo ha imparato a rapportarsi al mondo e a cooperare con qualsiasi altro essere umano, in modo meno unilaterale e limitato di quello dei suoi predecessori.
Ma il lavoro salariato non è la forma immanente dei rapporti produttivi e, in quei paesi nei quali è ormai diventato la forma “naturale” di partecipazione al processo produttivo, esso ha cominciato a mostrare la sua contraddittorietà rispetto alle nuove condizioni che si sono instaurate. Infatti, non appena la società ha cominciato a spingersi al di là del preesistente stato di miseria generalizzata, ciò che nei paesi avanzati, è accaduto a metà Novecento, la riproduzione di quel rapporto produttivo ha cominciato a scontrarsi con crescenti difficoltà, col continuo riaffiorare della disoccupazione di massa.
Per una fase storica (1945-1975) il problema è stato affrontato introducendo un lavoro salariato qualitativamente diverso, quello messo in moto dal sistema dei “diritti sociali”, del quale John M. Keynes aveva dimostrato la praticabilità. Ma quando ormai lo sviluppo della crescente spesa pubblica e dell’occupazione statale – che in alcuni paesi aveva raggiunto il 30/40% della forza lavoro - ha sostanzialmente consentito il raggiungimento degli obiettivi dello Stato sociale keynesiano, sono riemerse difficoltà a continuare a praticare quelle politiche attive del lavoro, con l’instaurarsi di una tendenza strutturale al ristagno.
Siamo così precipitati nella situazione anticipata da Marx nei Grudrisse (vol. 2, p. 84) nella quale o la forza lavoro impara a rapportarsi al suo stesso lavoro non più come un lavoro estraneo, “riconoscendo che i prodotti sono il risultato della sua attività e che la separazione nella quale si trovano nel rapporto della proprietà privata, cioè con la forma salariata dell’attività, è una separazione indebita e forzata”, o è destinata ad essere travolta dall’esplodere delle contraddizioni sociali. Un cambiamento che, nella pratica può essere avviato proprio con la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro e la redistribuzione tra tutti del lavoro necessario. L’alternativa, della quale tutti i paesi economicamente sviluppati stanno soffrendo, è quella di un progressivo impoverimento di masse crescenti della popolazione.
INDICE DELL'INTERA OPERA PUBBLICATA IN 4 QUADERNI
INTRODUZIONE
Un'attesa lunga un trentennio
FRAINTENDIMENTI RICORRENTI
Non crea lavoro! E allora?
Ridurre l'orario per accrescere la flessibilità?
Prima la piena occupazione, poi la riduzione
Le fragili fondamenta del "lavoro possibile"
Lavorare di più per lavorare tutti?
Tre corni spuntati
Per legge o per contratto?
ERRORI DI SOSTANZA
Far leva sulla produttività?
I conti col passato
Va bene al Nord, ma non per il Mezzogiorno
Ma non spingerà le imprese a intensificare l'innovazione?
EMERITE IDIOZIE
Culle vuote o cervello pigro?
I lavoratori non la vogliono
Che fretta c'è?
La favola della coperta corta
Nonsenso Ocse
Solo le imprese creano "vera occupazione"!
UNO SGUARDO D'INSIEME
Ma i soldi non ci sono!
Che cosa significa "cambiare i rapporti sociali"?
Errori cardinali a sinistra
Quella miserevole fuga nel modello
Può la democrazia poggiare su un reddito garantito a tutti?
II capitale non è una lepre
QUANDO L'AVVERSARIO VA OLTRE MISURA
AntiCiampi
AntiNesi
AntiAgnelli
AntiMonti
CONCLUSIONI
Perché la riduzione del tempo di lavoro non è un'utopia
Quale libertà nella redistribuzione del lavoro
Ultima modifica: 20 Settembre 2023