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perché l'agenda della sinistra è introvabile

 

 Sul manifesto del 31 gennaio Alberto Burgio ha chiesto: «Dov'è l'agenda della sinistra?». E ha risposto che, purtroppo, non si riesce a trovarla. Anzi, tutti procedono «come se non fosse accaduto nulla». In particolare lamenta che «si presentano le politiche del rigore come se non vi fossero alternative». A suo avviso esiste, invece, «la possibilità di praticare politiche espansive che, privilegiando occupazione e crescita, ci porterebbero fuori dalla crisi». Argomentazioni apparentemente più che condivisibili. Ma c'è da chiedersi: per quale strana ragione queste pratiche non riescono a diventare un elemento dell'agenda della sinistra? Poiché non possiamo rifugiarci nell'ipotesi di un masochismo di massa, quale ostacolo si frappone all'accettazione del fatto che questa strategia rappresenterebbe realmente un'alternativa praticabile alle politiche di austerità?

 

Qui Burgio chiama in causa la malafede e l'imbroglio, una linea esplicativa che mi aveva già trovato in dissenso quando, assieme ad altri intellettuali noti, aveva avanzato l'ipotesi che oggi ci troveremmo di fronte, non già ad un'inadeguatezza culturale, tanto delle classi egemoni quanto di quelle subalterne, bensì ad un «furto d'informazione». Per farla breve, secondo Burgio, che è in compagnia di molti altri oppositori al sistema, la soluzione ci sarebbe, ma tutti «fingono di ignorarla». Non ci troveremmo, pertanto, di fronte ad una contraddizione, ma ad un vero e proprio castigo, imposto consapevolmente alla parte più debole della società.

 

Per giungere a questa conclusione, Burgio ha però bisogno di semplificare la ricostruzione storica, e di immaginare che la crisi sia un fenomeno sopravvenuto negli ultimi sei anni, col crack finanziario. Personalmente propendo per una lettura molto diversa dell'insieme di eventi che cerchiamo di rappresentare con il concetto di crisi. La crisi si innesca, infatti, a metà anni Settanta, quando gli stessi sostenitori delle politiche espansive e della crescita, si scontrano con un insieme di fenomeni che non sanno spiegare, e tanto meno gestire. Se si vanno a rileggere i testi di quegli anni si scopre che il riconoscimento del sopravvenire di una crisi era quasi unanime. In alcuni paesi ciò è sfociato in una vera e propria abdicazione alle precedenti politiche espansive di tipo keynesiano, perché le modalità con le quali queste ultime venivano perseguite producevano effetti diametralmente opposti rispetto a quelli sperati. Di fronte a questa impotenza i conservatori finirono col ringalluzzirsi, e il neoliberismo fece la sua comparsa come alternativa culturale alla crisi dello Stato sociale. In altri paesi ci si barcamenò maldestramente in un tentativo di conservare la precedente struttura del welfare mescolandola con l'antagonistica cultura riemergente del neoliberismo. Ma col passare degli anni, il secondo orientamento finì col trasformarsi nella cultura generalmente egemone. Da qui il progressivo smantellamento dello Stato sociale keynesiano, per tornare a trasformalo in uno stato assistenziale di tipo bismarckiano.

 

Ora Burgio crede che si possa tornare a scrivere nell'agenda sociale quelle stesse politiche occupazionali e di crescita che appaiono alternative solo perché, col progressivo svuotamento della società, si è persa memoria delle contraddizioni che generavano. Ma questa non è l'alternativa, bensì l'altalena tra le opposte classi all'interno del sistema, che non riescono a far evolvere al di là della crisi che l'ha investito. Per cercare un'alternativa che ancora non c'è, e quindi non può puramente e semplicemente essere messa in agenda, non basta far appello agli errori (o, se si vuole, alle cattiverie) del neoliberismo. Occorre piuttosto verificare se le ipotesi del Marx dei Grundrisse - di un momento in cui sarebbe diventato impossibile riprodurre non contradditoriamente il rapporto di valore - e del Keynes - che parlava del presentarsi di una crescente difficoltà, per noi "suoi nipoti", di riprodurre il rapporto di lavoro salariato - non siano attualmente all'ordine del giorno. Nell'agenda non si può, cioè, scrivere una pratica alternativa, ma solo l'appuntamento con la ricerca nel corso della quale si può imparare a concepirla!

 

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