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Dini, Amato Maroni, Fornero, Monti, Renzi, Boeri;
come un popolo di ignoranti ha distrutto
un patrimonio culturale fondamentale
Dalla Quarta di copertina
Quando l’attuale situazione di crisi sarà superata, la maggior parte degli europei si chiederà stupito come e perché il disastro che ci sta travolgendo sia potuto accadere. Il disorientamento sociale, invece di sollecitare un approccio esplorativo, ha infatti sprofondato la società in una sorta di stato ipnotico, nel quale qualsiasi alternativa alla tendenza regressiva sembra, da decenni, inconcepibile. Nel testo l’autore mostra com’è invece possibile porre fine a questo ottundimento, ricostruendo come, nel campo della previdenza, la società aveva, col sistema retributivo a ripartizione, intuitivamente imboccato negli anni sessanta una via che teneva coerentemente conto dei profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi settant’anni.
L’esito del referendum sulla cosiddetta “riforma costituzionale” ha dimostrato che nella società comincia a far capolino una percezione della differenza che passa tra un linguaggio ideologico e mistificatore e un approccio che non rimuove i problemi che ostacolano il possibile sviluppo. Ma ciò non basta, appunto perché un orientamento meramente difensivo non è in grado di aprire una qualsiasi prospettiva alternativa. In molti sostengono di voler “metter a frutto” il patrimonio del referendum, ma concepiscono questo processo in forme troppo ingenue, come risultato di un’aggregazione volontaristica degli insoddisfatti. In realtà è necessario ben altro. occorre procedere in tutti i campi a dimostrare che la strada imboccata a suo tempo col Welfare keynesiano era quella giusta, anche se ora si deve imparare a comprendere e a risolvere i problemi prodotti, già da fine anni settanta, proprio dalle conquiste positive di quella formazione sociale. In altri termini, si tratta di imparare a spingersi oltre rispetto al punto che avevamo raggiunto.
La maggior parte delle persone è confusa da questa situazione. Non sa che normalmente lo sviluppo, una volta intervenuto, sfocia in una situazione contraddittoria, con la quale bisogna imparare a fare i conti. Considerando le contraddizioni come eventi arbitrari, si finisce in bocca ai mistificatori, che negano la necessità di assumere su di sé i problemi emersi, perché questi puramente e semplicemente non dovrebbero esserci. Nel testo l’autore analizza come le classi dominanti conservatrici hanno devastato, con argomentazioni che solo l’ignoranza collettiva ha permesso di far circolare nella società, un istituto essenziale dello sviluppo come il sistema previdenziale del Welfare. E conclude non solo con l’indicazione di come sbarazzarsi degli “anatemi” che sono circolati negli ultimi decenni, ma anche di come cominciare ad orientare il sapere su un’asse alternativo, che impari a fare i conti col problema fondamentale della nostra epoca: la difficoltà di riprodurre il lavoro.
Premessa
Ciò che chiamiamo barbarie è, in genere, un comportamento distruttivo. Rinvia ad uccisioni di massa, alla devastazione di templi, edifici pubblici, residenze vie di comunicazione, e di altri elementi di una civiltà da parte di popolazioni meno acculturate. Un evento ripetutosi spesso nella storia, che ha comportato la disgregazione della forma di vita che si esprimeva attraverso quelle strutture e le istituzioni corrispondenti. L'idea che il barbaro appartenga sempre ad una società meno evoluta è però ingenua. Il comportamento degli spagnoli nel Cinquecento, nei confronti della civiltà maya non è stato diverso da quello dei visigoti nel sacco di Roma del 410. Così come il comportamento dei borghesi inglesi e francesi, nei confronti delle popolazioni indigene dell'America del Nord, non si distinse significativamente da quello dei barbari propriamente detti.
Di solito si pensa che queste pratiche siano espressione di una malvagità intrinseca di coloro che la attuano. Ma si tratta di un errore grossolano. Nella realtà il barbaro no sa nulla di ciò che distrugge. Si limita ad agire prigioniero della sua rozza cultura. Ignorando il valore di ciò su cui si accanisce, inclusa la comune appartenenza alla specie umana con coloro che travolge, non sa nemmeno di distruggere. Per lui il mondo comincia e finisce con quel poco che conosce, e ciò che è stato costruito dagli altri esseri umani al di là dei limiti di quella forma di socialità gli è ignoto, e come tale potenzialmente foriero del male. Per questo può essere annullato senza titubanza. Insomma, l'elemento che accomuna i barbari sottosviluppati e quelli sviluppati è l'indifferenza per le civiltà con le quali si confrontano/scontrano. Considerando le forme soggettive ed oggettive della cultura di questi come inutili, o addirittura come aberrazioni, possono "rottamarle" disfacendosene, in quanto escrescenze della storia del tutto prive di valore.
Quando i barbari sono tra di noi.
L'espressione, ellenica prima e romana poi, di "barbaro" si riferiva, appunto, a popolazioni estranee. Com'è facile comprendere, era del tutto normale che queste non sapessero valutare le forme della civiltà con la quale venivano conflittualmente a confrontarsi. E ciò era tanto più vero in quanto all'epoca molti esseri umani sapevano ben poco gli uni degli altri altri e, in analogia con gli animali, non potevano far altro che contendersi il territorio necessario per la loro riproduzione.
Ma da quando il mondo ha cominciato a godere di un'integrazione produttiva prima inimmaginabile, è comparso sulla scena un nuovo tipo di barbaro: quello autoctono. Pur essendo cresciuto e vivendo nel contesto con il quale si confronta, non sa cogliere alcun valore negli istituti che, fino a quel momento, hanno dato forma alla cultura, e alle difficoltà che si sono dovute superare per realizzarli. All'emergere di problemi, vede solo il lato limitativo delle istituzioni; crede così che sbarazzandosi di quegli istituti, che la sua ignoranza gli fa percepire come estranei al suo essere, si possa conquistare una maggiore libertà, Conseguentemente mentre distrugge pensa di realizzare con ciò stesso il positivo. Tuttavia lo fa esattamente come lo facevano i cittadini del medioevo, che frantumavano le statue di marmo e fondevano quelle di bronzo degli antichi romani, per trasformarle in un informe materiale da costruzione. Un arretramento che fu possibile superare solo con la riconquista di un legame col passato chiamato, appunto, "Rinascimento". Quest'incapacità di riconoscere il senso positivo, per il costituirsi dell'umanità, delle forme culturali che l'hanno immediatamente preceduto è ciò che contraddistingue anche il barbaro contemporaneo. Potremmo descriverlo all'opera sulle questioni del lavoro, della sanità, della scuola, dell'ambiente ecc. Ma qui ci limiteremo a ricostruire i danni che ha causato e sta causando in rapporto alla previdenza sociale. Perché introdurre una norma che lascia centinaia di migliaia di persone senza fonti di sostentamento, dopo che sono state costrette a lasciare il lavoro, è barbarie. Perché una strategia che blocca intenzionalmente il fisiologico turnover tra generazioni sul mercato del lavoro, escludendo centinaia di migliaia di giovani da una vita positivamente attiva, è barbarie. Perché l'incapacità di sperimentare la ricchezza del mondo, delegando tutte le possibilità alla potenza del denaro, non è altro che feticismo barbarico. Siamo consapevoli che la distruzione è stata favorita anche dal fatto che la società, che i barbari aggrediscono, è precipitata in uno stato confusionale, che le preclude il riconoscimento del senso e del valore delle stesse istituzioni delle quali si era dotata. Ma questa confusione può essere diradata e superata, senza regredire al passato, come stiamo facendo, ma affrontando creativamente i problemi che, restando irrisolti, hanno permesso il ritardo dei barbari.
da pagg. 38 e segg.
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Perché, in contrasto con quanto sostenevano i conservatori, il debito era ed è necessario?
Come è noto, le imprese cercano di produrre riducendo sistematicamente i costi di produzione e puntando a massimizzare i ricavi. Cercano cioè di ottenere con la stessa spesa (corrispondente al lavoro diretto ed indiretto) una quantità maggiore di prodotto o la stessa quantità di prodotto con una spesa minore (lavoro diretto ed indiretto). Esse immettono così nel processo riproduttivo una quantità di denaro inferiore rispetto al denaro che cercano di ricavare dal prodotto che ottengono. Per loro, dunque, pagare denaro è un qualcosa di negativo al quale resistere. Tuttavia lo anticipano, con i loro investimenti, perché puntano ad ottenere un prodotto che, venduto, dovrebbe garantire un ricavo complessivo maggiore della somma sborsata. La contraddizione è evidente: quando il denaro affluisce nelle loro tasche l'evento è considerato come un fenomeno positivo; quando, invece, affluisce nelle tasche altrui, uscendo dalle loro, è vissuto come un fenomeno negativo, da limitare, nonostante costituisca la condizione della riproduzione altrui e del sistema nel suo insieme.
Ma c'è di più. Come spiega Marx, fin dalle prime battute del Capitale, il perseguimento coerente della finalità capitalistica è possibile solo in quanto il lavoro che le imprese fanno svolgere nel processo complessivo è di volta in volta potenziato, cioè reso più produttivo. Non potendo più guadagnare allungando smisuratamente la giornata lavorativa - come fecero agli albori del capitalismo - debbono farlo riducendo il costo che sopportano per farla svolgere. Quando la strategia va a buon fine, e alla fine del processo nel quale si è impiegata la stessa quantità di lavoro di prima, si ottengono più merci di prima, interviene un paradosso
"la stessa variazione della forza produttiva che aumenta la fecondità del lavoro, e quindi la massa dei valori d'uso da esso fornita non fa aumentare di per sé la grandezza di valore di questa massa di beni aumentata."
(... Karl Marx, Il Capitale, cit. Libro I, Vol. 1 P. 78)
Infatti, il valore del prodotto è notoriamente funzione inversa della difficoltà che si incontra a produrre, e ogni progresso nel processo produttivo abbatte il valore della merce.
Come fanno, allora, le imprese a vendere un prodotto che hanno ottenuto spendendo una somma di denaro pari a D, con la quale hanno prodotto merci di un valore superiore, ad un prezzo D' maggiore di D? Appunto, facendo scambiare una parte del lavoro oggettivato che cerca di trasformarsi in denaro con lavoro futuro, del quale le banche - quando assolvono coerentemente la loro funzione - certificano la praticabilità, anticipandone il valore corrispondente, in cambio di un interesse.
Il credito (e il debito corrispondente) si presenta così come un modo per far via via entrare nel processo riproduttivo quella parte del prodotto derivante dai sistematici aumenti di produttività, che altrimenti non avrebbe acquirenti. Si fa cioè in modo di acquistare un prodotto aggiuntivo corrente scambiando con lavoro futuro. Tuttavia, il lavoro futuro dovrà eventualmente essere svolto e diventare valore, ciò che ancora non è; per cui il sistema è costretto a rincorrere se stesso, dimostrando di sapere soddisfare bisogni su scala allargata, pena le crisi.
pagg. 105 e segg.
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Basta rileggere l'intervento col quale il Presidente del Consiglio Lamberto Dini presentò la sua radicale controriforma delle pensioni del 1995
"Troppo a lungo", ha dichiarato, "la stabilità politica si è basata anche su un sistema di costruzione del consenso che faceva perno su una finanza pubblica irrispettosa di ogni vincolo. La risoluzione dei conflitti avveniva a scapito del bilancio pubblico e, in ultima analisi, delle generazioni future. Il costo sociale di questo assetto ha travalicato la dimensione strettamente economica, minando la stessa credibilità delle istituzione e lacerando il contratto sociale. In questo contesto si sono radicate forme gravissime di corruzione e malversazione, meritoriamente svelate dall'azione della magistratura. ... Le scelte politiche non possono più contare su un bilancio pubblico che troppi hanno immaginato simile al biblico orcio della vedova di Serepta, sempre pieno senza mai necessità di essere riempito. Oggi, per fortuna, tutti sembrano consapevoli che [prima di spendere] l'orcio deve essere riempito [con imposte o con pagamenti dei servizi corrispondenti].
Che questo approccio comportasse il totale disconoscimento del ruolo degli enormi aumenti di produttività intervenuti nel corso del secolo, e in continua accelerazione, è dimostrato da una grave cantonata sulle pensioni nella quale è incorso un divulgatore scientifico normalmente molto misurato nelle sue argomentazioni. Nel suo Perché dobbiamo fare più figli Piero Angela, incapace di rapportarsi criticamente al problema, ci presenta il seguente bozzetto tendente a raffigurare la questione della "sostenibilità" del sistema pensionistico.
Qual è la grave distorsione contenuta nella rappresentazione?
L'idea che le forze produttive che garantiscono la riproduzione della società, e in particolare il sostentamento degli anziani, non siano altro che le braccia dei lavoratori, con la conseguenza che se gli anziani aumentano di numero bisognerebbe immettere nel sistema più braccia, o fare in modo che le braccia attive restino al lavoro più tempo di prima. Poiché i cambiamenti qualitativi nella capacità produttiva dei lavoratori vengono ignorati, tutto si trasforma in una questione di compensazione quantitativa di grandezze considerate come omogenee e immutabili: il numero dei lavoratori. Ma una delle caratteristiche del mondo moderno è, appunto, che le braccia non sono più da lungo tempo le principali forze produttive che mediano il processo riproduttivo, e le forze effettivamente operanti evolvono sistematicamente garantendo una sempre maggiore produttività. Se ancora nel corso dell'Ottocento ciò che "stava nel lavoro", e cioè l'energia produttiva, era per più dei 4/5 quella muscolare o animale, ora nei paesi avanzati questa ha un peso del tutto marginale nell'ottenimento del processo complessivo, certamente inferiore ad 1/50 rispetto al passato, e in via di ulteriore drastica riduzione.
Ora, se il prodotto che quel cinquantesimo riesce a far scaturire dalla sua attività è centinaia, o forse migliaia, di volte maggiore di quello di ieri, possiamo riconoscere che la trasformazione del sistema produttivo in una sorta di "orcio di Serepta" consiste proprio nella conquista di un continuo aumento della produttività del lavoro. Vale a dire che l'organizzazione capitalistica della produzione ha plasmato la società e l'ambiente circostante in modo tale da far materialmente sgorgare dal processo produttivo sempre di più rispetto a ciò che viene immesso. Il limite di quel sistema era nella mediazione sociale sottostante a quell'evoluzione, in particolare nel vincolo che quel prodotto eccedente potesse essere usato solo per essere immesso nuovamente nell'orcio, per farne uscire ancora di più, cioè per accumulare ulteriormente ...
Ultima modifica: 20 Settembre 2023