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Diritto al lavoro

Beffa o sfida ?

 

Giovanni Mazzetti

Asterios Editore, 2012

Recensione

Dalla seconda di copertina

I fatti parlano in modo brutale: nonostante le costituzioni di molti paesi europei riconoscono un "diritto al lavoro", la disoccupazione ha superato in Europa i trenta milioni di individui. Questo libro, con un'indagine insieme rigorosa e provocatoria, s'interroga sulle ragioni profonde di questa contraddizione tra i principi e realtà.

L'autore ripercorre le tappe storiche attraverso cui si è giunti a rivendicare un diritto al lavoro e analizza la natura dei mutamenti sociali che, con il Welfare di tipo keynesiano, hanno consentito un primo effettivo riconoscimento di questo diritto. Si addentra poi nell'analisi della crisi che ha investito il Welfare State facendo riesplodere la disoccupazione.

Poichè al passato non si ritorna, e poichè la disoccupazione è il portato di una tendenza di lungo periodo imputabile all'applicazione della tecnologia ai processi produttivi, la vera sfida del diritto al lavoro può essere vinta, a livello europeo, solo scommettendo sulla riduzione della giornata lavorativa a parità di salario, quindi con una redistribuzione del lavoro che, rifondando lo Stato sociale, prospetti un'uscita dal modo capitalistico di produzione e di consumo.

 

 

Da pag. 144 e segg.

 

    È di fronte a questa realtà che interviene la soluzione keynesiana. Se, al crescere della produttività, si vuole aumentare il lavoro senza incorrere nella possibilità di contraccolpi, occorre che faccia comparsa qualcuno che comperi senza puntare a vendere e senza essere costretto a farlo, perché il problema consiste nel trovare un'allocazione a ciò che il settore capitalistico è in grado di vendere in più rispetto a ciò che spende nell'acquisto. La questione è stata chiaramente sollevata anche da Marx, che ha indicato come "alla creazione di plus-lavoro da un lato corrisponde una creazione di minus-lavoro relativamente inutile (o nel caso migliore non produttivo) dall'altro". Con la significativa aggiunta che "Malthus era, perciò, assolutamente coerente quando, accanto al pluslavoro e al plus capitale, poneva l'esigenza di una eccedenza di oziosi che consuma senza produrre, ovvero la necessità dello spreco, del lusso, dello sperpero ecc." (K.Marx, Lineamente fondamentali ...). Si capisce, così, come lo scopo della spesa per la spesa possa divenire effettivamente uno scopo, coerente e adeguato alla situazione, perseguito dallo stato, e ciò nonostante la sua apparente paradossalità. La soluzione è infatti paradossale perchè la situazione che la impone è paradossale. Ma se lo stato deve svolgere la funzione di sostegno della domanda, e non pretende di svolgerla in modo illusoria e contraddittoria, deve agire ponendo necessariamente in essere un'eccedenza di domanda rispetto alla sua stessa offerta. Ciò comporta che le sue uscite devono sopravanzare stabilmente le entrate, e cioè esso deve produrre strutturalmente in deficit.

    ...

    Ciò conferma che un sistema di diritto al lavoro, nel momento in cui viene concretamente introdotto, rappresenta inevitabilmente una rottura rispetto al principio di equivalenza degli scambi, e cioè un superamento sostanziale, ma ancora oscuro a se stesso, del rapporto della proprietà privata. Poichè c'è qualcuno che cerca di vendersi, ma non riesce a trovare chi lo comperi tra quelli che hanno venduto, ci deve essere qualcuno che lo compera senza aver preliminarmente venduto e senza condizionare quell'acquisto alla possibilità della vendita. È dunque decisamente ipocrita o illusorio sostenere, da un lato, il bisogno di una politica dell'intervento attivo dello stato a sostegno dell'occupazione e, dall'altro, pretendere un cosiddetto risanamento della finanza pubblica ...

 

Ultima modifica: 20 Settembre  2023