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Ma gli italiani sono dei bambini? Giorgio Napolitano e l’ideologia della coesione

 

Quando mio figlio, da piccolo, litigava con i suoi compagni di classe, c’era quasi sempre una nonna che si faceva avanti sollecitando alla pace. La formula della pacificazione consisteva nell’intrecciare il dito mignolo dei due contendenti, invitandoli a recitare insieme: “mannaggia al diavoletto che c’ha fatto litigà. Bim, bum, bam. D’ora in poi pace sarà”.

Non mi sono mai opposto a questi piccoli riti perché contenevano il riconoscimento d’un fatto essenziale: si può entrare in conflitto perché si è agiti da forze che non comprendiamo e non controlliamo – il diavoletto, appunto – ed è assolutamente importante che i bambini vengano educati a dominare le loro spinte istintive, sperimentando la differenza che esiste tra l’agire e l’essere agiti.

Questo rito poteva però andare bene per i bambini piccoli. La crescita, con la conseguente introduzione alla cultura umana, impone il superamento di questa formula ingenua, perché notoriamente la pura e semplice inibizione dei contrasti non rappresenta una forza adeguata ad imbrigliare i comportamenti distruttivi. Via via che i bambini crescono occorre dunque educarli al fatto che i conflitti sono parte normale della vita, e una reazione umana al loro instaurarsi non sta nel negarli, ma nel comprendere le forze soggettive e oggettive sottostanti, per favorire il cambiamento che esse sollecitano, se questo è positivo, o astenersi dall’intraprenderlo, se esso è distruttivo.

Chi, di fronte all’emergere di un conflitto, sostiene che occorre innanzi tutto coesione, ragiona in maniera ancora più ingenua di quelle nonne che chiamavano in causa il diavoletto. Crede cioè che non entrino in campo forze diverse dalla volontà dei soggetti in campo, cosicché questi ultimi possano disporre delle loro azioni e, soprattutto, anticipare coerentemente i loro effetti, con un atto di libero arbitrio. In questo modo però cancella la maggior parte delle conquiste dell’umanità che, per essere realizzate, son dovute passare, non già attraverso la rimozione dei contrasti, bensì attraverso il loro svolgimento e la loro soluzione.

La coesione è l’espressione di una forza capace di tenere insieme le molecole che compongono un corpo. Ma non sempre questo “tenere insieme” è una cosa positiva. Se un bambino non riesce a separarsi dalla madre alla fine della gravidanza, muore o “uccide” la genitrice. Se due coniugi che non si amano più pretendono di “restare insieme” ad ogni costo, saranno destinati a logorarsi in inutili contrasti o a vivere attraverso continue mistificazioni. La coesione è ciò che ha impedito ai membri del Partito Comunista Sovietico di “vedere” quello a cui stavano partecipando durante le cosiddette purghe staliniane. Insomma, come tutte le manifestazioni della vita umana alla coesione non si può attribuire un valore assolutamente univoco. Dipende dagli eventi in corso e da come essi si collocano nella storia pregressa.

 

2. Qui fanno capolino coloro i quali sostengono che il ragionamento appena svolto è un ragionamento astratto. Come rivendica Casini oggi, facendo il verso all’Amato del 1992, quando “la casa brucia” non è sensato mettersi a discutere. Occorre innanzi tutto “spegnere l’incendio”.

Ma che cosa accade se il grido “al fuoco! Al fuoco!” è finalizzato a imporre un comportamento che l’interlocutore non sarebbe disposto ad accettare senza il presunto sussistere di uno stato di urgenza e di necessità. E’ dal tempo della Tatcher che i conservatori di tutto il mondo hanno imparato una strategia che va in questa direzione, dandole un grazioso nome di donna. Si tratta della T.I.N.A., acronimo che serve proprio a sostenere che Non C’è Alcuna Alternativa (There Is No Alternative) a quanto loro cercano di imporre, perché frutto dell’unica esperienza condivisibile del mondo, cosicché è inutile questionare.

 

3. Con queste riserve, chiediamoci: che ruolo svolge la coesione auspicata da Napolitano? Ad affrettare l’accettazione da parte del Parlamento dell’ennesima manovra di tagli e sacrifici per 70 miliardi in tre anni. Il risultato è stato ottenuto. Ma si tratta di un fatto positivo? La risposta richiede due considerazioni. La prima non riguarda il contenuto del provvedimento, bensì la mediazione che ne ha mediato l’approvazione. Come ha ben documentato Giorgio Meletti su Il Fatto (16.7.2011), sono trent’anni che gli uomini politici, Napolitano incluso, ripetono la stessa farsa, ma la situazione dall’inizio degli anni Ottanta è andata sistematicamente peggiorando. Poiché non è concepibile che ci troviamo di fronte a degli imbroglioni, non dovremmo forse provare a risvegliarli dai loro sonni, mostrandogli che stanno sbagliando? E se pretendono di continuare a indirizzare la vita comune sulla base delle loro fantasie, non dovremmo prendere le distanze, negando qualsiasi possibilità di coesione? La seconda considerazione riguarda il merito della manovra. L’allarme è scaturito da operazioni speculative sui titoli pubblici italiani, cioè da un’operazione di strozzinaggio, attraverso la quale gli operatori finanziari hanno fatto quello che fa qualsiasi usuraio: per continuare a prestare i soldi hanno chiesto, al debitore che mettevano in difficoltà, che sborsasse più soldi. Se questo comportamento si presentasse per la prima volta, si tratterebbe solo di aspettare per verificare se si tratta di un comportamento economicamente sensato o un fatto di usura. Ma la storia, come abbiamo ricordato, va avanti ormai da trent’anni. Facendo i conti è facile constatare che i creditori sono ampiamente rientrati del capitale che hanno via via prestato, e ora stato anticipando allo stato italiano solo i soldi che questo ha via via restituito come interessi. Come ha a suo tempo sostenuto Keynes, tutto ciò corrisponde allo svolgimento di “un’attività (finanziaria) semicriminale e semipatologica, che andrebbe consegnata con ribrezzo allo specialista di malattie mentali”. (Prospettive economiche per i nostri nipoti.)

Per ovvi motivi di spazio non posso qui approfondire le molte ragioni sottostanti a questo aspro giudizio. Ma esse ci sono e stupisce che una persona come Napolitano, nient’affatto digiuno delle controversie economiche del Novecento, la ignori e inviti a piegarsi pacificamente a chi, con la torcia in mano, minaccia di bruciarci la casa, se non continuiamo a pagargli il “pizzo” che si è visto riconoscere negli ultimi trent’anni.

 

Non è un diavoletto, caro Presidente, che mi impedisce di accogliere il suo appello alla coesione, ma valide ragioni economiche che, da adulto acculturato, non posso certo rimuovere. Spero, inoltre, che anche gli altri cittadini diffidino delle sue parole e facciano in modo di capire perché il suo appello è completamente sbagliato. A mio avviso non c’è altra via, se non si vuole precipitare nella disperata ed impotente reazione alla quale assistiamo in questi mesi in Grecia.

 

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