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Quaderni di Formazione online
Quel Pane da spartire - Teoria generale della necessità di redistribuire il lavoro
(IV Parte)
GIOVANNI MAZZETTI
Altri pensano che la soluzione non consista tanto nell'aumentare il consumo o l'investimento, ma nel diminuire l'offerta di lavoro; e cioè nel redistribuire il volume complessivo dell'occupazione data senza accrescere l'impiego o la produzione.
Questa politica mi sembra però prematura - ben più di quanto non lo sia un programma finalizzato ad accrescere il consumo (...) Credo che oggi la gran parte degli individui preferisca un maggior reddito a maggior tempo libero.
John M. Keynes, The General Theory
La legge sulla giornata lavorativa di dieci ore non fu soltanto un grande successo pratico, fu la vittoria di un principio: per la prima volta alla chiara luce del sole l'economia politica della borghesia soggiaceva all'economia politica della classe operaia.
Karl Marx, lettera a Engels (1866)
Presentazione
Pubblichiamo la parte conclusiva di Quel pane da spartire. Come si ricorderà, nel quaderno precedente abbiamo svolto una critica radicale dei tentativi, ricorrenti tra i critici della cultura dominante, di affastellare tutte le proposte che appaiono godere di un aspetto positivo, senza distinguere ciò che rappresenterebbe uno svolgimento contraddittorio della situazione da ciò che invece risponde al problema della crisi in modo coerente.
Il lettore superficiale potrebbe balzare alla conclusione che, una volta individuato che la prospettiva della redistribuzione del lavoro tra tutti, senza riduzione del salario individuale, è quella giusta, il problema di come procedere sia definitivamente risolto. Ma ciò costituirebbe l’espressione di una grave ingenuità.
La riduzione dell’orario di lavoro, come dimostrano le vicende della Francia, può essere introdotta su una base teorica del tutto inconsistente, o addirittura volontaristica. Oppure, come evidenzia la storia delle lotte tedesche, può limitarsi a costituire una conquista corporativa di questo o quel settore. Per questa ragione il testo, in quest’ultima parte, prende di petto la questione che era stata sollevata nelle batture conclusive dell’ultimo quaderno: come si pone il problema della redistribuzione del lavoro?
In un confronto serrato con altri autori che hanno avanzato a suo tempo la proposta della riduzione dell’orario di lavoro, il testo approfondisce quelli che sono i vincoli teorici e pratici che debbono essere rispettati per non incappare in uno svolgimento contraddittorio dei cambiamenti per i quali ci si batte.
Sembrava, quanto il testo fu pubblicato, che i tempi fossero maturi per i primi passi avanti nella direzione della redistribuzione del lavoro, ma le cose sono andate molto diversamente e, invece di godere di un progresso la società ha sin qui sofferto di un grave regresso. Della lotta per le 35 ore si è infatti persa ogni memoria, e la disoccupazione ha finito con l’assumere una dimensione sempre più strutturale. Proprio perché il testo non si era crogiolato in un approccio politicistico al problema, i vincoli in esso evidenziati conservano tutta la loro rilevanza e dovranno essere tenuti fermi se e quando il movimento per l’alternativa comincerà nuovamente a fare qualche timido passo avanti.
La redistribuzione del lavoro, cruna per lo sviluppo
Non saremo certamente noi a negare che questa tendenza è stata ed è largamente presente nella società. Il movimento dei lavoratori, i movimenti ambientalisti e quelli femministi, così come quelli dei giovani, hanno più volte manifestato, nel corso degli ultimi tre decenni, un rapporto critico con il sistema dei bisogni in generale. Essi hanno tuttavia sottovalutato un aspetto essenziale della trasformazione per la quale si battevano, e cioè che essa non poteva intervenire senza la produzione di uno spazio sociale nel quale quella elaborazione potesse essere coerentemente praticata. In altri termini essi hanno agito come se i bisogni dei quali si facevano portatori avessero già una forma corrispondente alle condizioni della loro soddisfazione, e cioè fossero già in grado di trascendere i limiti propri della forma denaro.
Com'è noto, però, nonostante la grande forza con la quale si è cercato di farli valere, questi bisogni hanno finito col restare in gran parte insoddisfatti. La ragione di questo fallimento va a nostro avviso ricercata proprio nel fatto che essi non hanno conquistato una base sociale coerente, e cioè che li si è formulati in maniera idealistica, ignorando completamente il problema della loro forma produttiva. Ciò ha fatto sì che, mentre da un lato venivano immaginati come espressione di una nuova universalità, decadessero di volta in volta a forme particolari della ricchezza, incapaci di sovrastare l'universalità del denaro.
Ma in che modo questi bisogni possono conquistare una forma produttiva coerente con la loro natura? Come possono mediare uno sviluppo delle capacità umane che è fine a se stesso, e cioè tale da determinare la produzione di una ricchezza che non prende più corpo in una situazione di miseria generalizzata e che quindi non esprime solo uno stato di necessità? La risposta è relativamente semplice: riconoscendo che l'elemento che potenzialmente li accomuna è quello della ricerca di una libertà nuova. Una libertà attraverso la quale il soggetto non agisce più in modo da assicurare la riproduzione altrui solo per assicurare la propria, e non produce per gli altri solo in quanto produce per se stesso. Il carattere della nuova universalità, tesa a conquistare alla produzione un terreno più vasto di quello praticabile attraverso il denaro, sta dunque nel fatto che il soggetto, da un lato, riconosce la natura storico-sociale dei suoi bisogni e proprio per questo accetta di porre, dall'altro lato, la loro soddisfazione come un problema che prende corpo già nel momento della loro stessa formulazione. Vale a dire che il carattere nuovo di questa ricchezza sta nel fatto che i singoli agiscono nella consapevolezza che gli ostacoli che si frappongono alla sua produzione emergono prima del momento della produzione vera e propria, e cioè nel momento dell'autoproduzione dei soggetti che stanno cercando di soddisfare i reciproci bisogni, e che quindi non basta cercare di accrescere il lavoro per produrla.
Proprio perché muove da questa esperienza, e fa del tempo disponibile la misura della possibilità di agire su questo momento antecedente al lavoro, la lotta per la riduzione del tempo di lavoro è la forma attraverso la quale il soggetto sviluppa una forma dell'individualità corrispondente al problema con il quale storicamente si confronta. La lotta per la riduzione del tempo di lavoro è dunque la lotta per la conquista della forma generale della ricchezza corrispondente alla soddisfazione dei bisogni nuovi e il soggetto che la pratica non è solo un portatore di questi bisogni, ma anche colui che sa riconoscere i vincoli ai quali essi debbono sottostare per essere realmente soddisfatti.
Certo gli individui possono continuare a considerare questo passaggio inessenziale, e battersi per la soddisfazione dei loro bisogni a prescindere dalla redistribuzione del lavoro e del tempo libero. Ma così facendo dimostreranno di ignorare le mediazioni attraverso le quali soltanto quei bisogni possono conquistare una forma che esprime l'umanità ancora da produrre. Sentendosi già liberi, non potranno «lavorare» a produrre la libertà che manca, e saranno condannati a soffrire della loro impotenza. Inclusa ovviamente l'impotenza corrispondente al dilagare della disoccupazione di massa.
INDICE DELL'INTERA OPERA PUBBLICATA IN 4 QUADERNI
INDICE
Premessa
Quel pane da spartire
Introduzione
II nocciolo della questione - L'impossibilità di espandere i! lavoro: stato stazionario o crisi? - Come battersi per la redistribuzione del lavoro? - La necessità di una teoria
Parte prima Preliminari
1. Il primo scoglio da superare
La disoccupazione e il senso comune - La disoccupazione come contraddizione - Gli inutili appelli alle responsabilità
2. Il processo di riproduzione del lavoro e i suoi momenti
II momento dei bisogni - II momento dell'oggetto del lavoro - II momento degli strumenti del lavoro - II momento della forza-lavoro - L'insieme dei quattro momenti
Parte seconda Verso una comprensione dell'attuale disoccupazione di massa
3. Lavoro e capitale
La forza-lavoro come merce - Ciò che è implicito nel rapporto mercantile - II lavoro come forza produttiva del capitale
4. La ricchezza del capitale e i limiti della sua riproducibilità
II predominio della forma valore - Lavoro necessario e accumulazione - I limiti propri del rapporto di valore
5. Il problema dell'innovazione tecnica
II problema nella sua forma astratta - Lavoro risparmiato e lavoro reimpiegato - I presupposti dell'incremento della produttività del lavoro - I motivi dell'innovazione tecnica come fatto strutturale - Che fine fa la forza-lavoro resa disponibile?
6. La rivoluzione keynesiana e la soluzione del problema connesso al continuo aumento della produttività
II rifiuto della contraddizione - Una fede nella produttività - Quando la fede nella produttività ha un senso - L'emergere del problema della domanda - Come il mancato consumo può limitare la produzione - La duplice natura del rapporto di denaro - Risparmio e riproduzione sociale - II problema del salvadanaio - Ma è sempre possibile investire su scala allargata? - II capitale tra riproduzione presente e riproduzione futura - II problema dell'abbondanza di capitale - II bisogno di una nuova misura della ricchezza
7. Lo sviluppo dello Stato sociale
Misura e natura del cambiamento - Mutamenti di atteggia¬mento nei confronti della disoccupazione - Verso una politica del pieno impiego - La questione a monte della politica del pieno impiego - II passaggio cruciale verso il pieno impiego - II potere proprio dello Stato sociale - Necessità del deficit - II problema del denaro con cui pagare il deficit - Crescita del deficit e debito pubblico
8. La crisi dello Stato sociale e il ripresentarsi della disoccupazione di massa
L'arricchimento garantito dallo Stato sociale - I limiti propri dello Stato sociale - II precipitare della crisi - II reimporsi del rapporto mercantile - Perché la crisi dello Stato sociale era inevitabile
Parte terza: Quali rimedi alla disoccupazione di massa?
9. Il problema delle priorità strategiche
Un motivo suonato da una orchestra stonata - Perché è necessario imparare ad ascoltare - Un quadro generale delle forze che si battono contro la disoccupazione
10. Il reddito di cittadinanza
Una confusione da evitare - Un possibile elemento contraddittorio – Un’obiezione spesso avanzata dai sostenitori del reddito di cittadinanza - II reddito garantito e le attività utili - La libertà che cerca di esprimersi attraverso il reddito garantito - Perché non è possibile cominciare dal reddito - Il punto debole della proposta del reddito garantito
11. I lavori socialmente utili o concreti
Una precisazione essenziale - II contenuto della proposta e i problemi che pone - La questione dello spreco - I problemi sottostanti allo spreco - Che cosa vuoi dire pro¬durre in forma socialmente utile? - La veste sociale del valore d'uso - Stato sociale e individuo sociale - In quale luogo va affrontato il problema dell'utilità sociale dell'attività? - L'errore cardinale dei sostenitori dei lavori socialmente utili - Perché i lavori socialmente utili rappresentano una non soluzione - Un passaggio risolutivo - Quali ipotesi per un'alternativa?
12. Come si pone il problema della redistribuzione del lavoro
Perché non basta dire: «lavorare meno, lavorare tutti» - Per rendere il conflitto produttivo - I tratti comuni e la differenza essenziale
Parte quarta: Quel pane da spartire
13. Quale libertà nella redistribuzione del lavoro?
Progresso tecnico e problematicità dello sviluppo - Implicazioni dello sviluppo capitalistico - I mutamenti che intervengono nello sviluppo - La questione delle forme della soggettività - Soggettività ed essere sociale - La riduzione del tempo di lavoro tra libertà e necessità - La teoria dei due mondi - Microcosmo e macrocosmo ovvero il rapporto che intercorre tra individuo e società - Essere sociale e universalità degli individui - Contro l'idealizzazione del microsociale
14. Perché la riduzione del tempo di lavoro deve intervenire a parità di salario
II duplice rapporto implicito nel lavoro - Le ingannevoli mediazioni tra il dare e l'avere - Svolgimenti contraddittori del dare e dell'avere - La preparazione al cambiamento: il fordismo - II rovesciamento di prospettiva implicito nel keynesismo - I mutamenti nei rapporti di proprietà impliciti nello Stato sociale - La questione del prelievo - II rapporto lavoro morto/lavoro vivo, ovvero la chiave di lettura del-l'aumento di produttività - L'appropriazione collettiva del plusprodotto - L'affermarsi dello Stato asociale e il riemergere della disoccupazione
Conclusioni
Le condizioni per rivendicare la riduzione del tempo di lavoro - Riduzione del tempo di lavoro e genesi dell'individuo sociale - La redistribuzione del lavoro, cruna per lo sviluppo
Ultima modifica: 20 Settembre 2023