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Quaderni di Formazione online
Alla scoperta della libertà che manca
Una bussola per orientarsi nella crisi e dar vita ad una politica alternativa (EPILOGO)
GIOVANNI MAZZETTI
EPILOGO:
A mò di progetto politico-culturale
Presentazione
Come sarà risultato chiaro dalla lettura dei primi quattro “libri” di Alla scoperta della libertà che manca sin qui pubblicati on line, la conquista di una nuova libertà, della quale abbiamo un radicale bisogno, non è un gioco. Si tratta piuttosto della “cosa maledettamente più seria di questo mondo” che costa fatica e sofferenza. Ma perché mai dovrebbe essere così? Perché mai il processo di emancipazione non può corrispondere immediatamente ad un ritrovarsi, ad un godere della situazione nuova per la quale ci si impegna. La risposta ce la fornisce indirettamente l’esperienza del Dott. Von Senden, citata da Spitz e da noi riportata in epigrafe in questo quaderno.
Come scrive Marx nell’Ideologia tedesca, “le condizioni sotto le quali gli individui, finché non è ancora apparsa la contraddizione, hanno relazioni tra loro sono condizioni che appartengono alla loro individualità, non qualcosa di esterno ad essi, condizioni sotto le quali soltanto questi individui determinati, esistenti in situazioni determinate, possono produrre la loro vita materiale e ciò che vi è connesso; esse sono quindi le condizioni della loro manifestazione personale e da questa sono prodotte”. In termini semplici esse costituiscono l’espressione concreta di una libertà che, mediamente, hanno imparato a far propria. Ma con lo sviluppo, e il cambiamento del contesto di vita, determinato proprio da quelle manifestazioni, queste ultime “divengono un intralcio”, perché non consentono di confrontarsi produttivamente con la nuova realtà.
I pazienti ciechi operati da Von Senden ci forniscono una vivida rappresentazione di ciò che accade in questi frangenti. Quegli individui, che soffrivano di cataratta congenita e che in precedenza avevano sviluppato un rapporto col mondo fondato sull’assenza del senso della vista, furono sottoposti all’intervento per acquisirla. La loro cultura non conteneva un rapporto con la realtà che si avvalesse anche di questa facoltà. Dopo l’operazione non sperimentarono affatto la loro “guarigione clinica” come una “benedizione”, cioè come la conquista di una maggiore libertà di agire. I loro occhi vedevano ma loro non sapevano far proprie quelle sollecitazioni sensoriali, e l’imparare a vedere comportava “un’angoscia senza fine”, perché imponeva una ristrutturazione integrale del loro rapporto con l’ambiente, per la quale non erano pronti. Per molti di loro la vista diventava un “intralcio” al modo di fare cui erano acculturati, che corrispondeva ad un modo di vita al quale si erano assuefatti. Ovviamente per i pochi che sono riusciti ad imparare a vedere il mondo, sopportando la sofferenza corrispondente all’acquisizione della nuova sensibilità, tutto è diventato diverso, e hanno goduto di uno sviluppo personale che per gli altri è mancato. Possiamo dire che hanno acquisito una nuova libertà (di muoversi) della quale prima, da ciechi, non godevano. Per comprendere l’accaduto non dobbiamo rappresentarci il fenomeno in modo capovolto, come viene spontaneo fare proiettandosi, da sani, in una condizione di privazione del senso della vista. I pazienti di Von Senden non erano soggetti che prima vedevano e poi erano stati privati dell’organo della vista. Al contrario, non avevano mai goduto della vista come un senso in grado di contribuire all’interazione con l’ambiente circostante. L’acquisizione della vista, che per noi appare come una reintegrazione della normalità, con un arricchimento sensoriale, per molti di loro era innanzi tutto un evento negativo, perché disintegrava l’ordine che essi erano riusciti a dare al mondo. Insomma, l’acquisizione della vista ha prodotto lo stesso effetto che, per un vedente, comporta il diventare cieco.
L’emergere di una contraddizione nella vita sociale è un fenomeno analogo. Il mondo è lì davanti a noi. Avendolo dominato fino a ieri cerchiamo di procedere come sappiamo fare, ma qualcosa, che non comprendiamo, si frappone al raggiungimento dei nostri obiettivi, e siamo investiti da un senso d’impotenza e di confusione. È penoso, in questi frangenti, sentir continuamente ripetere che “ci vuole la crescita”, “che bisogna creare altro e più lavoro”, che ci si deve affidare “alla ripresa degli investimenti pubblici e privati”. Queste erano le condizioni della riproduzione del nostro mondo di ieri, non quelle di oggi. Poiché interpretiamo i fenomeni con la forma di esperienza di ieri, finiamo col considerare come un disordine, come un’inibizione, il fatto di doverci muovere in un contesto nel quale la miserevole attività corrispondente alla forma salariata diventa difficile da riprodurre, perché l’umanità si è spinta al di là di quello che Marx chiama “il regno della necessità”. Spingendoci al di là della subordinazione al denaro - grazie allo sviluppo del sistema dei bisogni e della capacità di soddisfarli, anche attraverso il Welfare keynesiano - siamo diventati individui senza riuscire ad esserlo.
Il lettore può essere sorpreso da questa affermazione apparentemente perentoria. Ma si deve chiedere se ciò accade, come avveniva per i pazienti di Von Senden, perché non riesce a far rientrare questa componente della realtà, sin qui prodotta e che abbiamo di fronte, nel suo campo di esperienza per come questa è strutturata. Senza dilungarci troppo:
in Italia disponiamo di un patrimonio immobiliare
di stanze che è il doppio della popolazione;
abbiamo un patrimonio automobilistico di
50 milioni di vetture cioè 1,1 per ogni abitante abilitato alla guida;
Il 99,9% delle abitazioni è datato di acqua corrente ed elettricità;
l’80% circa dispone di un impianto di distribuzione del gas;
Il 95% ha il bagno, il 90% ha riscaldamento;
ogni abitazione ha in media due televisori;
il numero di cellulari e degli smartphone in circolazione
è doppio rispetto alla popolazione;
il 98% di quelli in età frequenta la scuola dell’obbligo
il 52% in età frequenta l’università;
la vita media ha decisamente superato gli 80 anni;
negli aeroporti italiani sono transitati mediamente
160 milioni di passeggeri all’anno;
e si potrebbe continuare con molti altri indicatori di quanto il mondo sia profondamente cambiato negli ultimi settant’anni.
Il modo in cui abbiamo reagito a questi cambiamenti è, però, sin qui stato solo adattativo. Non solo i conservatori hanno sostenuto che tutto procedeva coerentemente con la struttura dei rapporti sociali esistenti, tornando a ripetere i luoghi comuni elaborati in occasione delle numerose fasi di difficoltà che si sono presentate nel corso del Novecento (affidarsi di più al mercato, accrescere la competitività, aumentare le conoscenze tecniche e la flessibilità, intraprendere come singoli, ecc.), che allora avevano un senso. Ma gli stessi critici dei rapporti dominanti non hanno saputo far altro che contrapporre a questo regresso ideologico le stesse forme di lotta e le stesse forme di pensiero, grazie alle quali sono intervenute le numerose conquiste sociali del dopoguerra, che hanno rappresentato il punto di avvio del recente sviluppo, ma che non possono essere il suo punto di arrivo. E la cui crisi, dalla fine degli anni settanta, ha favorito il ritorno dei conservatori.
Questo “resistenza” ad interrogarsi e ad imparare è lo stesso meccanismo che inibiva l’acquisizione della vista della maggior parte dei pazienti di Von Senden dopo l’intervento. Essi accettarono di operarsi perché credevano che dall’acquisizione della vista sarebbe scaturito un potenziamento dei loro sensi; mai e poi mai pensavano che invece li avrebbe fatti precipitare in una situazione confusionale nella quale dovevano procedere a riorganizzare il mondo. Con tutta la sofferenza che ciò comporta. Ma quell’esito è del tutto coerente con la condizione umana così com’è stata magistralmente sintetizzata da Adam Ferguson ben due secoli e mezzo fa, quando scrisse:
“gli uomini, nel seguire il sentimento presente nelle loro menti, sforzandosi di rimuovere le difficoltà o di raggiungere vantaggi palesi e alla loro portata, giungono a risultati che neppure la loro immaginazione avrebbe potuto prevedere e, come gli altri esseri viventi, procedono sul sentiero della loro natura senza percepirne il fine … Ciascun passo e ogni movimento della moltitudine, perfino in quelle che vengono definite epoche illuminate, sono compiuti con egual cecità riguardo al futuro, e le nazioni inciampano in istituzioni che sono sì il risultato dell’azione umana, ma non l’esecuzione di un qualche disegno umano”.
Il problema sta proprio nel riconoscere che siamo finiti in una realtà che è sì il risultato della nostra azione, ma non contiene in alcun modo i nostri disegni del recente passato, anche perché quelli non erano certamente così nitidi come pretendiamo nei nostri ricordi. Ma, come avvenne dopo la fine della Prima guerra mondiale, i giovani sono stati educati a rifiutare la confusione di cui soffriamo come se fosse un qualcosa di arbitrario, allontanando così il momento in cui la libertà nuova, che è a portata di mano, può finalmente prendere corpo.
INDICE DELL'INTERA OPERA PUBBLICATA IN 5 QUADERNI
TREDICI TESI PER LA LIBERTÀ CHE MANCA
LIBRO PRIMO
SUL SIGNIFICATO DELLA CRISI
I. LE COORDINATE PER CAPIRE DOVE SIAMO
Il noi - Una questione preliminare – La necessità di un orientamento - La conquista del nuovo paradigma: la necessità della spesa – Le diverse forme del processo riproduttivo – Denaro e crisi: la descrizione della cosa – Perché le crisi trascendono le difficoltà del semplice rapporto di denaro – Il rimedio keynesiano alle crisi.
II. IL PRINCIPIO GRAVITAZIONALE DEL PARADIGMA KEYNESIANO
La prospettiva monadica - La prospettiva relazionale.
III. COME SIAMO GIUNTI NELLA SITUAZIONE IN CUI CI TROVIAMO
I due opposti lati del rapporto di denaro – Il paradigma occulto dei conservatori – Perché la spesa costituisce la mediazione riproduttiva – La peculiarità della spesa capitalistica – La rozza intuizione del senso comune – L’esserci o il non esserci del denaro - Dall’auri sacre fames al denaro odierno – Come il keynesismo si spinge al di là del sistema del credito – Nel guazzabuglio del significato della spesa pubblica.
LIBRO SECONDO
LA DIMENSIONE SOMMERSA DELLA STORIA DEL NOVECENTO
IV. I PRESUPPOSTI DELLO STATO SOCIALE KEYNESIANO
Il rapporto tra base economica e problema delle crisi – Domanda e impiego delle risorse – Come avvengono i cambiamenti sociali – Il cambiamento implicito nel Welfare keynesiano – La differenza tra il credito e la spesa pubblica keynesiana – La base teorica della possibilità di una spesa in deficit – La contraddizione fondamentale insita nei rapporti capitalistici.
V. IL PROFILARSI DELLA TEMPESTA
Un tentativo di spiegazione del blocco – Il nodo sottostante alla crisi del keynesismo – La mistificazione svelata – Ma c’è una via d’uscita dalla contraddizione? - Come e perché si può erroneamente sostenere che lo stato non produce – La prima fase del progetto keynesiano – I risvolti politici del mutamento - La seconda fase del progetto keynesiano, che la società ha eluso – Il meccanismo evolutivo del sistema dei bisogni.
LIBRO TERZO
LA CRISI, QUANDO LA SOCIETÀ È IN BILICO TRA OPPORTUNITÀ E DISGREGAZIONE
VI. IL PRIMO APPRODO KEYNESIANO: UN PORTO INSICURO PER LA NUOVA LIBERTÀ
Problematiche di libertà scaturite dai recenti sviluppi economici – Perché e come la libertà fecondata dal keynesismo è stata negata – Il fantasma del torchio - Dalla negazione della libertà keynesiana alla sua dissoluzione.
VII. L’INVERSIONE DI ROTTA E IL NAUFRAGIO
Quando il capitale pretese di sostituirsi allo stato keynesiano -
Perché il deficit è necessario - Il quadro generale col quale dobbiamo confrontarci – Capire il naufragio – Le disperate ricerche di una via d’uscita dalla crisi – Perché nel naufragio odierno c’è lo zampino del rentier.
LIBRO QUARTO
IL PRIMO PRENDER CORPO DELLA NUOVA LIBERTA’
VIII. PER FECONDARE LA LIBERTÀ CHE MANCA
L’emergere del bisogno di una nuova libertà - La dinamica storica che ha condotto alle soglie della nuova libertà - L’interiorizzazione retroversa - Lotte che non cambiano nulla - I mutamenti necessari per far venire alla luce la libertà che manca.
IX. IL BISOGNO DI UNA POLITICA ALTERNATIVA
L’ideologia della fine delle ideologie – Politica senza senso – Il trionfo dell’opportunismo - Il berlusconismo come forma ideologica dell’opportunismo dilagante - La pubblicità come scuola di negazione della libertà da produrre - Dal berlusconismo al rigorismo: la riesumazione di una cultura morta.
EPILOGO
A MO’ DI PROGETTO POLITICO-CULTURALE
I limiti del lavoro salariato – Il primo passo storico verso la redistribuzione del lavoro – La redistribuzione del lavoro della quale c’è oggi bisogno – L’appropriazione individuale del tempo liberato dal lavoro come condizione di un nuovo sviluppo – Verso la proprietà individuale.
Ultima modifica: 20 Settembre 2023