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Quaderni di Formazione online
Presentazione
Perché ripubblicare a vent’anni di distanza Quel pane da spartire? Teoria generale della necessità di redistribuire il lavoro. Perché da tempo è esaurita la ristampa, ma soprattutto perché il bisogno che aveva allora sollecitato la sua scrittura è ancora del tutto insoddisfatto. Anzi, da molti di vista, come c’era da aspettarsi, la situazione è ulteriormente peggiorata. Nel 1997 ci si lamentava del fatto che gli intellettuali critici e gli stessi partiti di sinistra portassero avanti le loro proposte di cambiamento come “un’orchestra stonata”, rifiutandosi di affrontare le contraddizioni esistenti tra i provvedimenti per cui si battevano, e che affastellavano sincreticamente nei loro programmi. Oggi la confusione si è radicata addirittura nella mente dei singoli che portano avanti progetti che nella realtà somigliano a mosaici impazziti.
In passato coloro che si battevano per il reddito di cittadinanza “sapevano” quello per cui lottavano e cercavano di formularlo in modo coerente, anche se nel testo abbiamo sottoposto quella formulazione ad una serrata critica per la sua intrinseca contraddittorietà. Oggi coloro che brandiscono questa proposta soffrono della più grave confusione, proponendo con quel nome le prosaiche indennità di disoccupazione, per di più imposte nella forma del workfare, che non ha nulla a vedere con la natura positiva della conquista di quell’indennità a inizio Novecento. Il workfare – per intenderci, l’obbligo di svolgere attività gratuite per ricevere un reddito di sussistenza – implica che il disoccupato sarebbe tale per furbizia, o perché schizzinoso – la Fornero direbbe choosy - riguardo al tipo di lavoro disponibile. In tal modo si propone con un nome altisonante un istituto imbastardito dall’ideologia liberista contro la quale, i sostenitori dell’indennità di disoccupazione a suo tempo si batterono, perché troppo simile ai lavori coercitivi del passato e tale da aggravare la concorrenza tra lavoratori
Analogamente si è imbastardito il riferimento ai cosiddetti “lavori socialmente utili”, che pure abbiamo criticato nella sua formulazione razionali. Chi li propugnava negli anni settanta e ottanta, lo faceva nella convinzione che potessero essere messi in moto solo da una spesa pubblica aggiuntiva, dalla quale sarebbe dovuto scaturire un reddito aggiuntivo in grado di generare un effetto moltiplicativo. Oggi chi li propone, come contropartita di un fantomatico “reddito di cittadinanza”, li concepisce con la stessa impronta culturale dei lavori forzati del passato.
Se coloro che ritengono di poter affrontare la crisi in cui ci dibattiamo da quarant’anni con le loro proposte avessero studiato un po’ le vicende del Novecento, saprebbero che quelle che a loro paiono vie percorribili oggi per risolvere i problemi, sono già state ampiamente battute da quando la crisi è cominciata, sfociando in fragorosi fallimenti. Come potrebbero i lavori socialmente utili di oggi imposti gratuitamente ai disoccupati produrre effetti diversi da quelli che fecero scandalo negli anni ottanta e novanta? Solo perché ora a proporli sono dei soggetti politici nuovi? Come potrebbero i tentativi di creare lavoro per i disoccupati dare risultati diversi da quelli della legge 285 del 1977, della legge Treu del 1997, del programma Garanzia Giovani varato nel 2013 a livello europeo e dello stesso Jobs Act di renziana memoria? Per una presunta maggiore serietà di chi è oggi al governo?
Si tratta di chimere! È probabile che perfino sulla legge Fornero e sui trattamenti pensionistici si finisca col determinare – senza rendersene conto - un disastro, portando a compimento i danni già fatti da Amato, Dini, Maroni, e dalla Fornero, nella convinzione di porre rimedio a quegli “abusi”.
Se i nuovi responsabili della cosa pubblica avessero sentito parlare del problema della coazione a ripetere, saprebbero che non basta la buona volontà, e tanto meno l’onestà, per affrontare i problemi che ci stanno travolgendo. Come sottolineò Barbara Epstein nel 2001, la peculiarità della storia recente sta nel grado di discontinuità tra una generazione e l’altra. Ogni generazione ignora le vicende di quelle precedenti. I giovani pensano: ‘dobbiamo reinventare tutto da capo’. È una iattura, perché così ogni generazione pretende di poter ripartire da zero, come se la storia stesse appena cominciando. Ma visto che nella condizione umana ognuno può procedere solo dalla cultura ereditata, reinterpretandola più o meno criticamente, e approfondendo la natura dei problemi che ha determinato, la nuova generazione che pretende di creare il nuovo dal nulla “finisce col ripetere esattamente gli stessi errori di quelle che l’hanno preceduta”. Un’evoluzione che ha investito da allora l’Europa intera, che pretende di risolvere la crisi con ricette economiche avanzate dai conservatori addirittura ad inizio Novecento.
In Quel pane da spartire abbiamo cercato di collocare l’interpretazione della crisi che stiamo attraversando nel contesto storico che l’ha prodotta. Un passaggio che la società non ha ancora compiuto nei venti anni (!) trascorsi dalla sua pubblicazione.
Lo svolgimento della riflessione si articola in quattro passaggi.
Il primo definisce analiticamente la natura della disoccupazione, criticando il ricorso approssimativo a questa categoria.
Il secondo affronta una ricostruzione storica delle vicende del lavoro passando dapprima per la fase del trionfo della borghesia, la Grande Crisi degli anni trenta e l’imperioso sviluppo conseguente alla cosiddetta “rivoluzione keynesiana”.
Il terzo si sofferma sulle proposte che hanno circolato tra le forze progressiste negli ultimi decenni e sulle ragioni della loro contraddittorietà.
Il quarto approfondisce i molti risvolti della strategia di redistribuzione del lavoro, dimostrando che costituisce l’unica soluzione possibile ai nostri problemi sociali.
INDICE DELL'INTERA OPERA PUBBLICATA IN 4 QUADERNI
INDICE
Premessa
Quel pane da spartire
Introduzione
II nocciolo della questione - L'impossibilità di espandere i! lavoro: stato stazionario o crisi? - Come battersi per la redistribuzione del lavoro? - La necessità di una teoria
Parte prima Preliminari
1. Il primo scoglio da superare
La disoccupazione e il senso comune - La disoccupazione come contraddizione - Gli inutili appelli alle responsabilità
2. Il processo di riproduzione del lavoro e i suoi momenti
II momento dei bisogni - II momento dell'oggetto del lavoro - II momento degli strumenti del lavoro - II momento della forza-lavoro - L'insieme dei quattro momenti
Parte seconda Verso una comprensione dell'attuale disoccupazione di massa
3. Lavoro e capitale
La forza-lavoro come merce - Ciò che è implicito nel rapporto mercantile - II lavoro come forza produttiva del capitale
4. La ricchezza del capitale e i limiti della sua riproducibilità
II predominio della forma valore - Lavoro necessario e accumulazione - I limiti propri del rapporto di valore
5. Il problema dell'innovazione tecnica
II problema nella sua forma astratta - Lavoro risparmiato e lavoro reimpiegato - I presupposti dell'incremento della produttività del lavoro - I motivi dell'innovazione tecnica come fatto strutturale - Che fine fa la forza-lavoro resa disponibile?
6. La rivoluzione keynesiana e la soluzione del problema connesso al continuo aumento della produttività
II rifiuto della contraddizione - Una fede nella produttività - Quando la fede nella produttività ha un senso - L'emergere del problema della domanda - Come il mancato consumo può limitare la produzione - La duplice natura del rapporto di denaro - Risparmio e riproduzione sociale - II problema del salvadanaio - Ma è sempre possibile investire su scala allargata? - II capitale tra riproduzione presente e riproduzione futura - II problema dell'abbondanza di capitale - II bisogno di una nuova misura della ricchezza
7. Lo sviluppo dello Stato sociale
Misura e natura del cambiamento - Mutamenti di atteggia¬mento nei confronti della disoccupazione - Verso una politica del pieno impiego - La questione a monte della politica del pieno impiego - II passaggio cruciale verso il pieno impiego - II potere proprio dello Stato sociale - Necessità del deficit - II problema del denaro con cui pagare il deficit - Crescita del deficit e debito pubblico
8. La crisi dello Stato sociale e il ripresentarsi della disoccupazione di massa
L'arricchimento garantito dallo Stato sociale - I limiti propri dello Stato sociale - II precipitare della crisi - II reimporsi del rapporto mercantile - Perché la crisi dello Stato sociale era inevitabile
Parte terza: Quali rimedi alla disoccupazione di massa?
9. Il problema delle priorità strategiche
Un motivo suonato da una orchestra stonata - Perché è necessario imparare ad ascoltare - Un quadro generale delle forze che si battono contro la disoccupazione
10. Il reddito di cittadinanza
Una confusione da evitare - Un possibile elemento contraddittorio – Un’obiezione spesso avanzata dai sostenitori del reddito di cittadinanza - II reddito garantito e le attività utili - La libertà che cerca di esprimersi attraverso il reddito garantito - Perché non è possibile cominciare dal reddito - Il punto debole della proposta del reddito garantito
11. I lavori socialmente utili o concreti
Una precisazione essenziale - II contenuto della proposta e i problemi che pone - La questione dello spreco - I problemi sottostanti allo spreco - Che cosa vuoi dire pro¬durre in forma socialmente utile? - La veste sociale del valore d'uso - Stato sociale e individuo sociale - In quale luogo va affrontato il problema dell'utilità sociale dell'attività? - L'errore cardinale dei sostenitori dei lavori socialmente utili - Perché i lavori socialmente utili rappresentano una non soluzione - Un passaggio risolutivo - Quali ipotesi per un'alternativa?
12. Come si pone il problema della redistribuzione del lavoro
Perché non basta dire: «lavorare meno, lavorare tutti» - Per rendere il conflitto produttivo - I tratti comuni e la differenza essenziale
Parte quarta: Quel pane da spartire
13. Quale libertà nella redistribuzione del lavoro?
Progresso tecnico e problematicità dello sviluppo - Implicazioni dello sviluppo capitalistico - I mutamenti che intervengono nello sviluppo - La questione delle forme della soggettività - Soggettività ed essere sociale - La riduzione del tempo di lavoro tra libertà e necessità - La teoria dei due mondi - Microcosmo e macrocosmo ovvero il rapporto che intercorre tra individuo e società - Essere sociale e universalità degli individui - Contro l'idealizzazione del microsociale
14. Perché la riduzione del tempo di lavoro deve intervenire a parità di salario
II duplice rapporto implicito nel lavoro - Le ingannevoli mediazioni tra il dare e l'avere - Svolgimenti contraddittori del dare e dell'avere - La preparazione al cambiamento: il fordismo - II rovesciamento di prospettiva implicito nel keynesismo - I mutamenti nei rapporti di proprietà impliciti nello Stato sociale - La questione del prelievo - II rapporto lavoro morto/lavoro vivo, ovvero la chiave di lettura del-l'aumento di produttività - L'appropriazione collettiva del plusprodotto - L'affermarsi dello Stato asociale e il riemergere della disoccupazione
Conclusioni
Le condizioni per rivendicare la riduzione del tempo di lavoro - Riduzione del tempo di lavoro e genesi dell'individuo sociale - La redistribuzione del lavoro, cruna per lo sviluppo
Ultima modifica: 20 Settembre 2023