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Quaderni di Formazione online
Presentazione
Nel capitolo ottavo del testo, che pubblichiamo in questo quaderno, è stata svolta l’analisi del ruolo che le diverse forme della riproduzione del lavoro hanno avuto nella storia degli ultimi due secoli. In particolare, si approfondisce il ruolo che i primi economisti hanno attribuito a ciò che hanno definito come lavoro produttivo.
Un’attività che hanno contrapposto alle attività, prima dominanti, ma che ora venivano considerate come meramente dissipatorie, di pura e semplice soddisfazione dei bisogni. Attività diverse, che loro hanno raggruppato nella definizione di lavoro improduttivo.
Glosse (auto)critiche
Il testo abbonda indubbiamente di intuizioni preziose, ma esse vengono affastellate senza un ordine che consenta di dedurne una teoria.
Il punto di partenza è corretto: la diffusione del lavoro produttivo fa tutt’uno con l’imporsi dei rapporti borghesi. Ma lo svolgimento dell’analisi successiva non avrebbe dovuto limitarsi a sottolineare che ciò corrisponde al fatto che ad ogni ciclo produttivo si produce un plusvalore, e se questo eccedente rispetto ai costi viene a mancare il processo viene interrotto. Era piuttosto necessario valorizzare la distinzione fondamentale di Marx, per cui il lavoro realmente produttivo è il lavoro che produce non solo un plusvalore, ma produce un plusvalore relativo. Questo plusvalore scaturisce non già dal fatto che si costringe la forza lavoro ad un’attività che eccede il tempo di lavoro necessario alla sua stessa riproduzione, ma dal fatto che si riduce sistematicamente il tempo di lavoro necessario per produrre non solo i beni che entrano nel salario, ma la ricchezza nella sua generalità. Il capitale, sostiene Marx, è un rapporto produttivo appunto perché rende la riproduzione sempre meno dipendente dal lavoro, e cioè, trasforma il lavoro in modo da aumentarne la produttività - cosa che i lavoratori storicamente non farebbero - e rende così la ricchezza sempre meno dipendente da quell’attività e sempre più dallo sviluppo della scienza e della tecnica. Allo stesso tempo, però, il capitale si trasforma via via in un rapporto contraddittorio, perché nel corso delle crisi non sa più tornare ad impiegare quella ricchezza crescente, in quanto si limita a volerla impiegare solo se da quell’impiego scaturisce un ulteriore arricchimento.
Anche la parte relativa all’enorme sviluppo dei servizi non è collocata coerentemente nello svolgimento dell’analisi. Non distingue infatti il ruolo storico positivo della trasformazione della maggior parte delle attività svolte direttamente dal lavoro in attività industriali dalla fase recente, nella quale la riproduzione del lavoro nella forma dei servizi pretende di evitare la contraddizione tra l’attività umana posta come una mera erogazione di forza lavoro e l’attività che invece contempla lo spazio per una manifestazione di sé, come soggetto comunitario.
Anche la parte conclusiva del capitolo, pur non incorrendo in errori, mostra una padronanza troppo intuitiva del significato della rivoluzione keynesiana e degli effetti che ha determinato e determina.
Ultima modifica: 20 Settembre 2023